Alcune cose ci appartengono.
Ma non semplicemente nel senso che le possediamo, che possiamo usarle. Alcune cose abitano proprio la nostra vita.
E parlo di oggetti: una penna, un bracciale, la nostra tazza preferita. Sono loro i prescelti, sappiamo che ci sono.
Ci insegnano, ogni giorno, che la loro muta presenza è viva.
Ci raccontano, ogni volta, una storia sempre diversa, ma fedele al nostro modo di viverla.
Ci accompagnano nelle nostre distrazioni senza giudicarci, perché ad esse abbiamo consegnato quella nostra fetta di tempo che, pian piano, le ricopre di graffi, di storture, di ammaccature, di polvere.
E le amiamo proprio perché graffiate, storte, ammaccate, impolverate.
Da piccoli desideriamo sempre qualcosa di nuovo, che ci sorprenda e che finisce – di tanto in tanto – per sostituire quella vecchia cara cosa. Che poi regaliamo o gettiamo via.
Iniziamo così un’altra storia, scrivendola con la luce della novità, ma che ci riporta a sentire il profumo del ricordo, di quella cosa un po’ consunta ma tenera, comprensiva, ad oggi magari graffiata da un tempo che non appartiene a nessuno.
Quel posto lì, sulla credenza o sulla scrivania, sulla parete o nel fondo silenzioso di un cassetto, quel posto sa che è la casa di un piccolo frammento di noi, che vive ancora anche se non abita più lì.
Alcune cose ci appartengono e noi, più di quanto crediamo, apparteniamo a loro.